giovedì 28 Marzo 2024

Proprietà intellettuale e game design: la sfida della traduzione

Durante i piovosi giorni della scorsa Lucca Comics and Games, tra gli innumerevoli incontri svoltisi all’interno della Sala Ingellis, ce ne è stato uno che ha messo a confronto due game designer di fama mondiale sul tema della proprietà intellettuale e del game design; potevamo forse mancare? Ovviamente eravamo lì a seguire l’incontro (anche) per voi!

Al centro del palco ha preso posto, in qualità di moderatore, Seth Polansky, che si è autodefinito prima di tutto un giocatore, poi un regista e infine un avvocato. L’ospite è a Lucca per presentare, tra le altre cose, il suo documentario “Eye of the Beholder”, e in questo incontro ha intenzione di contribuire con le proprie esperienze con licenze e Intellectual Properties (da ora in poi IP).

Photo credit: Martina Malerbi

Si inizia chiaramente con la presentazione dei relatori coinvolti.
Alla destra di Seth siede Andrea Chiarvesio, game designer di mestiere e nome arcinoto ai nostri lettori. Nella sua carriera ha lavorato con diverse licenze, da Disney a Wacky Races, passando per quella relativa alla serie televisiva Narcos.
Dall’altro lato di Seth troviamo Chris Pramas, fondatore, presidente e game designer della Green Ronin Publishing. Ha personalmente gestito le licenze dei giochi di ruolo di Game of Thrones, DC, The Expanse e altro ancora.

La prima domanda di Seth verte proprio su quanto appena condiviso da Chris: come ha ottenuto la licenza per Game of Thrones? C’è stato un contatto diretto con George R. R. Martin, o sono passati per la HBO, o per il suo agente?
Scopriamo così che l’acquisto della licenza è fortunatamente avvenuto prima della serie televisiva, altrimenti difficilmente avrebbero potuto permetterselo. Esisteva già un gioco, ma dopo che la compagnia che lo produceva fallì, serviva che qualcun altro si occupasse di tenere vivo un gioco di ruolo dedicato alla fortunata ambientazione di Martin. Per farlo, non ha contattato la compagnia fallita per rilevare i suoi diritti, ma ha direttamente contattato Martin dopo aver trovato un suo indirizzo mail su internet. Si è presentato a lui, dal nulla, mandandogli un pacco con numerosi esempi di giochi prodotti dalla Green Ronin. Sapendo che Martin è un grande fan dei comics americani, nella spedizione ha abbondato con i manuali di Mutants & Masterminds, e fortunatamente gli sono piaciuti, il che probabilmente lo ha convinto a discutere la cessione della licenza con il suo agente.

Un modo di acquisire license piuttosto raro, commenta il moderatore, che a questo punto chiede a Chiarvesio come è andata nel suo caso per la licenza di Wacky Races.
Andrea confessa di non avere idea di come sia stata acquisita la licenza; semplicemente, il suo capo è arrivato un giorno e gli ha detto che avevano la licenza e gli ha chiesto se voleva lavorarci. Per lui è stato facile accettare: con aziende così grandi e strutturate si hanno regole e limiti precisi, il che aiuta molto a focalizzare il processo di game design. Il passo principale è trovare il cuore della licenza, la sua essenza più profonda. A proposito di questo, ha sentito che alcuni giocatori che hanno già provato il gioco, si sono lamentati di non poter impersonare Dick Dastardly in Wacky Races, ma secondo lui non avrebbe avuto senso farlo. Il focus di Wacky Races non è davvero la corsa in sé, ma sono gli interventi di Dick Dastardly. Nel cartone non si parla mai delle qualità tecniche dei partecipanti alla corsa, così come non si vede la bravura di Penelope Pitstop a effettuare la curve. I partecipanti, semplicemente, reagiscono a quanto Dick Dastardly combina loro. Non si può pensare di assegnare questo ruolo a un giocatore; deve invece essere il motore che genera gli ostacoli per tutti i concorrenti. Anche i licenziatari sono stati d'accordo e questo è stata quindi l’idea che ha guidato lo sviluppo di tutto il design di gioco.
Incalzato dal moderatore su l’originalità di questa meccanica e la possibilità di usarne altre, Andrea chiarisce che questa idea di gestione per Dick Dastardly è piaciuta sin da subito, anche perché evita una interazione eccessivamente diretta e cattiva. La Warner Bros voleva un gioco adatto alla famiglia, quindi questa meccanica era perfetta. Il gioco sì sarebbe potuto sviluppare in altro modo, magari in maniera più tradizionale, ma Andrea non voleva realizzare un gioco di corse classico e relegare l’uso della licenza alle livree delle auto.

Si cambia completamente argomento con una curiosità per Pramas: in genere i giochi di ruolo sono collaborativi, ma gli è mai capitato di lavorare a giochi prevalentemente player versus player?
Chris pesca dalla propria produzione proprio il primo gioco che abbia mai prodotto, ovvero Ork!
Si tratta di un gioco di ruolo light, adatto ad essere usato come party game, in cui i personaggi sono orchi psicotici in diretta contrapposizione. Lo stile di gioco ricorda quello del famoso Paranoia. Tra l'altro, la seconda edizione di questo titolo è uscita di recente.

Nuovo quesito, stavolta per entrambi i relatori: qual è la tipologia di meccanica che più piace loro, o che ritengano possa più coinvolgere i giocatori.
Andrea ha un debole per le meccaniche in cui occorre “leggere la mente” degli altri partecipanti, ad esempio la pianificazione segreta delle mosse. Quando fa il game designer, però, non esiste una meccanica preferita, tutto dipende dal tipo di esperienza che deve far vivere ai giocatori, e quindi (nuovamente) dal cuore dell'IP. Nella serie tv Narcos il fulcro è la caccia a cui viene sottoposto il patron. Il gioco sviluppato ricorda Fury of Dracula, quindi un gioco di movimenti nascosti, ma anche il Patron della droga doveva poter minacciare chi gli dava la caccia. Da qui è nata la presenza dei sicari, ad esempio. Il risultato finale gli piace, ma questa volta non è partito con in mente una meccanica particolare che distinguesse questo titolo da altri.
Per Chris, la premessa del gioco di ruolo è che deve essere in grado di catturare l’attenzione, suggerire storie, accendere fantasie. Le meccaniche dovranno quindi essere sia belle che funzionali. Se l’idea di base è buona, ma le meccaniche non lo sono, è difficile che la trasmissione dell'idea funzioni bene. Ci sono delle eccezioni, anche notevoli: Cyberpunk (o anche Shadowrun) è un ottimo esempio di caso in cui l'idea narrativa era talmente forte da riparare alle mancanze delle regole. L’idea portante, e il carisma in essa presente, è una delle cose più importanti che ottieni da una licenza. Grazie a tutta l'eredità di storie che una IP si porta dietro, il concetto del gioco sarà subito chiaro ai giocatori.

Seth pone un’altra domanda per entrambi: qual è la licenza che non hai ottenuto ma su cui avresti voluto tanto lavorare?
Andrea invidia Chris per aver potuto lavorare su Game of Thrones. Kingsburg deve molto ai libri di Martin, tanto da rappresentarne quasi una fan fiction, per certi versi. Gli piacerebbe anche tornare a lavorare con la Disney, che recentemente ha concesso licenza per il fortunato Villanious. Infine, avrebbe voluto che il gioco di carte di Rat-Man potesse essere maggiormente rappresentativo dell’opera originale, dalle elevate potenzialità.
Chris a dieci anni circa ha giocato per la prima volta a Dungeons & Dragons e ha letto il Signore degli Anelli. Questi due eventi gli hanno segnato la vita (in maniera positiva, ovviamente!). Quando ha lavorato per la Wizard of the Coast ha scritto diverse cose per Dungeons & Dragons, ma purtroppo non è mai riuscito a lavorare con il materiale ufficiale de il Signore degli Anelli. Ci è andato anche vicino: nel 2005 stava lavorando per la seconda edizione di Warhammer Fantasy RPG, poco prima che la Games Workshop mettesse in cantiere il gioco di miniature del Signore degli Anelli. Lui e il suo team speravano che questo wargame e il rapporto con l’editore di Nottinghan potessero aiutarli nel lancio di un nuovo gioco di ruolo ufficiale, e provarono ad acquisire i diritti dalla Decypher, purtroppo senza riuscirci.

Si passa alle domande dal pubblico: subito arriva la prima, che chiede ai game designer qual è il gioco che avrebbero voluto creare loro.
Per Chris si tratta di King Arthur Pendragon, un setting e un gioco che adora.
Andrea invece chiama in causa Magic: The Gathering, per ovvie ragioni. Sul fronte dei giochi da tavolo, ammira particolarmente Here I Stand. Per giochi su licenza, la sua scelta va su Battlestar Galactica.

Altra domanda dal pubblico. Vi siete mai rifiutato di lavorare per una licenza per motivi etici? Può accadere?
Ad Andrea non è mai capitato, nonostante ad esempio Narcos e Death Note avessero temi particolari. In genere crede che sia giusto affrontare temi più complessi nei giochi, possibilmente in maniera che creino discussioni positive all’interno della partita. Si sente però di poter dire che rifiuterebbe una licenza nel caso si trattasse di creare un gioco chiaramente razzista o discriminatorio.
Chris ha effettivamente rinunciato a una licenza una volta, perché le posizioni pubbliche della società proprietaria della IP non erano coerenti con le posizioni progressiste sue e della sua compagnia. C’era in ballo una gran quantità di soldi, ma nonostante tutto ha preferito rinunciare.
Interviene in proposito anche il moderatore, Seth Polansky, chiarendo che al giorno d’oggi le cosiddette “clausole Weinstein” siano sempre più comuni, anche in questo ambito ludico. Tali clausole possono essere utilizzate per terminare un contratto nel momento in cui una IP sia collegata a fatti o persone che possano portare danno all’immagine della compagnia che ha acquistato la licenza.

E con l’occasione è proprio Seth che chiede ai correlatori quale gioco, da loro creato, gli sarebbe piaciuto rifare e perché.
Andrea non ha esitazioni nello scegliere Arcanum. Aveva un tempo molto ristretto per consegnarlo, ma subito dopo la firma del contratto si è preso una polmonite che ha ridotto ulteriormente il tempo a sua disposizione. Non ha potuto dedicarcisi come avrebbe voluto, ma un giorno non esclude di tornare su quelle stesse meccaniche.
A Chris piacerebbe tornare a lavorare su un suo gioco dedicato alla seconda guerra mondiale, V for Victory. Uscì del 2002 su una rivista Wizard of the Coast, era basato sul d20 system, e quindi doveva sottostare a diversi forti vincoli. Inoltre, da allora ci sono stati tanti progressi circa il game design, che gli piacerebbe mettere in atto.
Tra l’altro, una piccola chicca che non in molti sanno: V for Victory doveva essere inizialmente il gioco di ruolo di Axis and Allies. All’epoca Hasbro aveva recentemente comprato la Wizard of the Coast e voleva un gioco di ruolo dedicato a quell’IP, ma alla fine ha cambiato idea rinominando il progetto su cui Chris lavorava.

Seth ha un’ultima domanda, più da giocatore che da game designer. “Se stasera aveste modo di giocare, con chiunque voleste, a cosa giochereste?”
A Chris piacerebbe fare una partita a Advanced Squad Leader, il grande classico. Sarebbe per lui un ritorno alle origini.
Per Andrea la scelta ricade invece sul già citato Here I Stand in compagnia di cinque buoni amici.

C’è tempo per un’ultima domanda dal pubblico, che chiede ai relatori quale sia il gioco di cui ognuno è più soddisfatto e perché.
Per Chris si tratta di Dragon Age, perché è un titolo che gli ha consentito di attirare parecchi videogiocatori e trasformarli in giocatori di ruolo (effetto confermato anche dal collega relatore).
Personalmente, Andrea è orgoglioso di Wizard of Mickey, il collectible card game da lui sviluppato per Disney. La Disney aveva posto diversi paletti, tra cui il fatto che non doveva essere un gioco di combattimenti, ma nonostante questo lui è riuscito a destreggiarsi e a impostare il tutto come una sfida di abilità.

A valle di questo confronto è interessante notare come la trasposizione ludica di una licenza non è mai un obiettivo tanto semplice da raggiungere, a partire dal riuscire a convincere il licenziatario di turno della bontà del progetto. Sicuramente contribuisce la garanzia di competenza nel game design, ma proprio da questi racconti apprendiamo come sia fondamentale cogliere l’essenza del setting e condividere correttamente con il proprietario dell’IP l’idea di come questa dovrebbe emergere nell’esperienza di gioco. Per qualche dettaglio più pratico su “come” si approccia una licenza in un titolo tabletop, vi rimandiamo aquesto articoloche lo stesso Chiarvesio pubblicò nella nostra rubrica Opinioni d’Autore

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