venerdì 29 Marzo 2024

Sette punti per Sette Meraviglie!

Antoine Bauza è un simpatico ragazzo francese dai molteplici talenti: scrittore di libri per l’infanzia, sceneggiatore di fumetti, insegnante, appassionato dell’estremo oriente, editor di videogame e ovviamente game designer a 360°.

Nel suo curriculum figurano giochi di ogni tipo: dagli astratti agli strategici, filler non banali e giochi cooperativi (sicuramente Ghost Stories ma anche il trascurato Hanabi) e addirittura un gioco di ruolo… sui nani da giardino!

Al suo vasto bagaglio di esperienze, come per molti autori, Magic ha avuto la sua buona parte:  Bauza ha avuto l’idea vincente di trasformare la meccanica semplice e straconosciuta del “draft” di Magic nell’ossatura principale di uno dei maggiori successi degli ultimi anni, 7 Wonders.

Sette è il numero magico – e sicuramente fortunatissimo – che permea tutto il gioco: sette le categorie di carte, il numero massimo di giocatori, le carte in mano a ogni era. 777 erano le scatole in anteprima ad Essen 2010 andate esaurite al termine della prima giornata di fiera.
La parte inferiore del coperchio è ormai oscurata da una moltitudine di loghi appartenenti ai premi e trofei vinti dal gioco, a testimonianza di un successo che, partito dai simpatici ragazzi belgi col sombrero della Repos, è arrivato in tutto il mondo. Chi non sa come funzioni, può documentarsi su uno dei tanti siti dedicati alla spiegazione del gioco.
In questa recensione si andrà a esaminare il perché di un tale successo, ovviamente in sette punti.

1/7Numero di giocatori. 7 Wonders è un gioco che regge benissimo dai 3 ai 7 giocatori. Il massimo desiderio di molti editori è avere giochi che siano ancora in grado di girare bene in 5 al massimo, e spesso ci riescono al costo di diventare lenti e fuori controllo. 7 Wonders al contrario fa del numero di giocatori uno dei suoi punti di forza, e ci sono anche delle varianti per due giocatori che non sono davvero male. Il meccanismo di “scegli una carta e passa la mano” è veloce e coinvolgente.

2/7Durata. Una partita a 7 Wonders va dalla mezz’ora all’ora scarsa, un tempo accettabile che ormai sta diventando uno standard per molti giochi di successo. Si può fare una partita per poi passare ad altro, oppure i tempi corti permettono di giocarne diverse di seguito. I turni, grazie alle azioni contemporanee di tutti i giocatori e alla relativa semplicità dell’azione (scegliere una carta tra quelle che il nostro vicino ci passa, pagarne il costo e calarla di fronte a noi), sono densi, le scelte talvolta non sono affatto facili e non lasciano i consueti tempi morti in attesa degli avversari.

3/7Varietà delle strategie. Si può parlare di strategia in un gioco di carte dove a ogni turno si prende una carta dalla mano ricevuta e la si gioca davanti a sé? Forse il termine può disturbare qualcuno, ma i bravi giocatori di 7 Wonders alla fine vincono. Vincono privilegiando carte dei colori meno usati, utilizzando per le loro meraviglie carte preziose per gli altri, ricordando le carte passate e calcolando quelle che devono ancora uscire. 7 Wonders piace ai neofiti come ai giocatori seri. Tutti i colori utilizzati hanno le loro potenzialità e i loro effetti, i loro punteggi a fine partita e questo fa si che quasi mai nessuna carta sia veramente inutile.

4/7Varietà delle partite. Difficilmente un giocatore può permettersi il lusso di giocare sempre con il medesimo stile: le carte girano, e spesso bisognerà adattare le proprie giocate in funzione delle possibilità date dalle carte che ci vengono passate. Questo, lungi dall’essere un limite, forza i giocatori a provare differenti colori, a uscire dagli schemi conosciuti, a scoprire nuovi aspetti del gioco. Questo fa si che sia necessario giocare almeno qualche partita prima di poter iniziare ad apprezzare il gioco. L’abbinamento meraviglia/carte (e Leader) genera combinazioni sempre nuove e interessanti da sperimentare.

5/7Varietà delle carte. Un grandissimo lavoro è stato fatto nel bilanciare i sette tipi di costruzioni che è possibile realizzare. Ogni tipologia richiede differenti strategie e risorse, quindi la curva di apprendimento, sebbene il gioco sia in sé semplice, non è proprio immediata. Ad esempio si può puntare molto sulle carte gialle (commercio) e riuscire a costruire senza quasi utilizzare le carte risorsa marroni e grigie. Molte carte verdi possono essere calate in conseguenza di quelle già in gioco.

6/7Varietà delle meraviglie. Ogni meraviglia ha le sue peculiarità e richiede un certo stile di gioco per essere sfruttata a dovere. Ci sono meraviglie che danno vari tipi di bonus e i giocatori più accorti le sapranno sfruttare a loro favore, nei tempi e modi più indicati. Anche se a qualcuno non sembra, sono tutte ben equilibrate.

7/7Espandibilità. Se ancora non bastassero le carte presenti, ci penseranno le espansioni, Leaders e Cities su tutti. La meccanica di 7 Wonders permette di innestare numerose alternative in grado di rinnovare il gioco, introducendo molti aspetti differenti. Con Leaders, ogni giocatore potrà pagare per ottenere le particolarità dei personaggi prescelti. Con Cities viene introdotto il nuovo colore nero, che permette di danneggiare gli altri giocatori.

Già intravisto in versione tedescoide/minimale nell’elegante Notre Dame di Stefan Feld, che sembra sempre incorporare un giochino classico all’interno dei suoi progetti più complessi, qui il draft diventa IL gioco.
È evidente che se un autore decide di utilizzare il draft come motore di base, definendo come i beni andranno raccolti, tutto il peso tattico del gioco risiederà sul perché bisognerà raccogliere certe carte invece di altre.
Ed è qui che l’autore, assieme all’editore, ha fatto un grande lavoro. Sui punteggi e sugli effetti delle carte. Limando successivamente gli spigoli, ad esempio evitando di far giocare l’ultima carta in mano, oppure concedendo di vendere le carte che non vuole o che non può giocare. Anche permettendo di bruciare una carta scomoda per costruire il piano della meraviglia, ottiene un’opzione molto interessante e attenta al “timing” del gioco.

7 Wonders non è certamente immune da critiche: le carte avrebbero potuto essere leggermente più piccole e occupare un po’ meno spazio sul tavolo. Anche la loro qualità lascia abbastanza a desiderare. I set per giocare in 5-6-e 7 giocatori sono delle semplici copie di quelli inferiori e quindi poco vari. Ma tutto questo sembra non aver inficiato il suo successo: 7 Wonders sembra possedere quell’imponderabile fattore X che fa si che, una volta giocata qualche partita, i giocatori pensino di aver capito un po’ di più del gioco e provino il desiderio di giocare ancora, e ancora, e ancora…
Inoltre  può contare sulle ottime illustrazioni di Miguel Coimbra, uno degli artisti più bravi e versatili in circolazione, che ha svolto una mole di lavoro impressionante sul gioco, mantenendo sempre una qualità molto alta.

Nome tedesco ma autore italiano, Walter Obert è considerato tra i più eclettici autori italiani.
La sua produzione varia dai party game come “Tokyo Train” e “Kragmortha” a giochi più impegnativi come “Chang Cheng” e “Strada Romana”, cardgame e giochi per bambini.
Ha pubblicato una decina di giochi, è membro fondatore di IDG Inventori di Giochi (www.inventoridigiochi.it) e ogni anno in gennaio organizza IDEAG, il meeting dei game designer italiani.
“Loch Ness”, il suo ultimo titolo, è il suo primo gioco per bambini e ne va molto orgoglioso.
È solito dire: “Fare le cose semplici è complicato”.

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