giovedì 28 Marzo 2024

Spiel des Jahres – Fortuna: Yomi e benedizione divina

Qualche anno fa Andrea Angiolino arricchì la nostra rubrica Opionioni D’autore con un’interessante riflessione sull’importanza del fattore casuale nei giochi. L’articolo della rubrica Spielraum che andiamo a proporvi oggi tratta lo stesso argomento, ma il suo autore Guido Heinecke, ci spiega come la fortuna nei giochi travalichi l’esperienza ludica e arrivi a migliorare il nostro modo di affrontare le sfide quotidiane. 

Fortuna – Yomi e benedizione divinadi Guido Heinecke

La fortuna è ciò che accade quando la preparazione incontra un'opportunità(Seneca)

No, non mi sono di nuovo immerso nella lettura del nostro libro sulla fortuna. Spesso leggo o sento parlare di “un gioco di fortuna” oppure “un gioco di strategia privo di componenti di fortuna” e penso a che cosa veramente significhi la fortuna nel gioco. Sicuramente non significa sfortuna in amore, questo è chiaro. In effetti ha a che fare con la casualità.
In che forma si mostra dunque la fortuna nel gioco? Principalmente si tratta di pescare carte e lanciare dadi. Questo aggiunge tensione, incertezza, varianza al posto di controllo totale. Però non a tutti piace che ci sia una componente di fortuna nei giochi, in particolare quando si tratta di una dura competizione. Gli sconfitti si lamentano di non aver potuto vincere solo a casa di coincidenze sfortunate.

Per me esistono quatto tipi di fortuna:

1.     la fortuna assoluta: il tiro del dado o della moneta sono al di là di ogni possibile influsso o capacità. Anche lo sforzo più intenso non può impedire una sconfitta.

2.     Il colpo di fortuna o di sfortuna: una varianza nelle proprie capacità. Il giocatore di pallacanestro che segna solo in un tiro libero su cinque, benché di solito le metta dentro tutte. In effetti in questo momento la sua prestazione è solo statisticamente sotto la media, ma nonostante questo può essere molto demoralizzante. Lui parla di “sfortuna”, ma se lo dimentica ben presto se i prossimi cento tiri vanno tutti a segno.

3.     Yomi. Il miglior esempio per questo complesso concetto giapponese viene dalla morra cinese. Si tratta di essere in grado di leggere il flusso di pensieri e anche i minimi gesti dell’avversario, di capirli e di usarli a proprio favore. Entrambi i giocatori scelgono contemporaneamente un’azione. Nella testa di ciascuno di essi passano decisioni diverse. Chi riesce a capire cosa l’avversario sta per fare è sempre in vantaggio. Chi durante un gioco ha pensato “io so che lui pensa che io farò questo e quello, allora faccio qualcos’altro” è pienamente dentro lo Yomi. O è solo un tipo di fortuna? O magari lettura del pensiero?

4.     Fortuna imbrigliata: questo è il caso più comune nei giochi da tavolo. La fortuna è sicuramente un fattore, perché aiuta a pescare la carta giusta al momento giusto o a ottenere col dado il risultato che serve, però i buoni giocatori ne tengono conto nella loro pianificazione… e poi citano Seneca.

Questa è varianza in tutte le forme e colori. Ci sono naturalmente anche giochi come gli scacchi o la dama che sono completamente deterministici, o si tratta di fortuna quando il mio avversario non vede una mossa perfetta? Come vedremo in seguito è tutta questione di percezione.

Nei giochi il fattore fortuna è interessante, e importante, anche dal punto di vista psicologico: molti giocatori hanno magari problemi ad assumersi la responsabilità per le proprie scelte durante la partita. È più facile dare la colpa alla fortuna dell’avversario o alla propria sfortuna, piuttosto che alla propria strategia sballata. La fortuna funziona anche come una sorta di valvola di sfogo psicologica, che fa sì che l’esperienza di gioco sia positiva nonostante la sconfitta.

Proprio per questo c’è bisogno degli elementi di casualità nei giochi. Il vincitore di una partita può darsi orgogliosamente una pacca sulle spalle e dire “Ho giocato bene”. Tutti gli altri dovrebbero però ammettere di aver giocato palesemente male. Benché alcuni non abbiano problemi a farlo, per altri è una pillola dura da digerire. Possono argomentare di aver avuto solamente sfortuna in alcune mosse chiave e così non devono sentirsi scarsi o addirittura stupidi. è solo questione di percezione. Per la motivazione è sicuramente una panacea, perché nonostante la sconfitta i giocatori possono tornare al tavolo sapendo che “la prossima volta sarò sicuramente più fortunato”. Riassumendo: uno si sente meglio se può dare la colpa alla fortuna, però in questo modo non impara niente.

I gioco di società hanno bisogno della fortuna anche quando alla maggioranza dei professionisti e dei giocatori accaniti non piace. La fortuna mette pepe nell’esperienza ludica. L’incertezza porta tensione al tavolo. Porta equilibrio tra i giocatori, perché anche chi sta perdendo ha la possibilità di recuperare in ogni momento. Grazie alla fortuna i giocatori più giovani o più deboli possono vincere e i giocatori più forti possono mostrare la loro esperienza preparandosi accuratamente ad affrontare gli imprevisti del caso.

Fondamentalmente ci insegnano fortuna e casualità anche qualcosa sulla vita. Siamo infatti continuamente sottomessi a questi due fattori, senza nemmeno accorgercene. Nel 2015 Peter Lemcke, esperto di gioco e docente al SAE-Institute, in un’intervista radiofonica ha detto “(Ci sono) giochi in cui ci esercitiamo a cose che non capiamo, che attribuiamo ad un potere superiore. Perché proprio io? (…) Per simulare questo e abituarci abbiamo inventato una molteplicità di giochi, di palle, trottole, dadi ecc., in cui ci capitano cose impreviste e dobbiamo affrontarli“. 

GiA´5000 anni fa il senet era per gli antichi egizi pIú di un gioco di corsa. Aveva l’aspetto di un atto di culto, quasi mistico. I giocatori lanciavano quattro legnetti, simili a matite, e poi leggevano i risultati. In quel momento si sentivano molto vicini ai propri dei, perché ne avvertivano l’azione: in quel momento era stato assegnato a loro esattamente questo risultato, questo destino. Così come gli sciamani e i profeti tentavano di leggere il futuro dalle ossa, qui il tutto era impacchettato in un gioco. Un gioco molto serio. Senet non era un gioco per divertirsi, era un’esperienza di benedizione divina evocata di proposito.

Ancora oggi per la gente la fortuna nel gioco è qualcosa di più di una semplice randomizzazione. Protegge dalle conseguenze psicologiche della sconfitta e ci insegna ad accettare i capricci dell’imprevisto. Chi si esercita in questo potrà affrontare la vita più rilassato e con spirito più libero.

(Articolo originale – traduzione a cura di Fabrizio Paoli)

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