giovedì 28 Marzo 2024

The Bottle Imp

The bottle imp è un gioco che, prima di tutto, devo ringraziare per avermi spinto a leggere lo straordinario racconto di Stevenson a cui è ispirato. Si tratta di una storia che è (giustamente) considerata un classico, in cui una bottiglia contenente un demone viaggia di mano in mano, pronta a portare la dannazione dell’anima alla persona che non riuscirà a darla via prima della propria morte. Un tema decisamente peculiare per un gioco, e molto specifico. Ma alla fin fine, al di là dell’ambientazione, com’è questo prodotto ripreso in questa nuova versione dai finlandesi della Lautapelit.fi (l’originale risale addirittura al 1995) e localizzato per il nostro Paese da Playagame edizioni?

Preparatevi a fare i conti con denari e demonietti, e seguitemi in questa strana avventura!

  • The Bottle Imp
  • Autori: Günter Cornett
  • Editore: Playagame Edizioni
  • Genere: Trick-tacking card game
  • Numero Giocatori: 2-4
  • Durata: 30 minuti
  • Dipendenza dalla lingua: nessuna (gioco in italiano)
  • Illustratori: Tuuli Hypén

– E di vetro è, ma il suo vetro è stato temprato nelle fiamme dell’inferno (Materiali e confezione)

Scatolina di piccole dimensioni per un gioco che, di fatto, consta di appena 40 carte e di una bottiglia di legno arancione. A dirla tutta, il materiale poteva occupare benissimo la metà dello spazio, ma è stato pubblicato all’interno di una collana di titoli caratterizzata da un packaging comune, motivo per cui alla fine appare un pochino sovradimensionato. Nulla di grave, comunque, e se lo mettete in libreria accanto, per dire, a un Honshu comunque l’effetto è gradevole.
Passiamo a disquisire delle carte: sono illustrate con scene tratte dal racconto (anche se non ho capito bene con quale logica, visto che non sembrano presentare un ordine cronologico) e recano impresse un numero colorato (da 1 a 37, rosso, giallo o blu) e una manciata di monete (da 1 a 6). Tutto qui, semplici semplici, di buona fattura. Le restanti tre carte sono quelle di riepilogo che in questo caso ci aiutano a ricordare la composizione del mazzo, nello specifico l’accoppiata numero-colore. Decisamente utile come informazione da tenere sott’occhio durante la partita, ma è da notare come il gioco supporti fino a quattro giocatori e le carte di riepilogo siano invece solamente tre: immagino che la scelta sia stata collegata a logiche di produzione (per evitare un mazzo da 41 carte), ma è un dettaglio che fa storcere un pochino la bocca.

  

– La bottiglia ha un inconveniente: se uno muore prima di venderla, dovrà bruciare per sempre all’inferno (Descrizione del gioco)

Il gioco è un classico trick-tacking game. Prima di tutto, si stabiliscono le modalità di vittoria. Nulla di rivoluzionario: il regolamento permette di scegliere se proclamare vincitore il primo che arriva a totalizzare un quantitativo prestabilito di punti (non c’è una regola, ma ci si accorda tra i giocatori), oppure chi ha il punteggio più alto dopo aver giocato un po’ di mani.
All’inizio la carta 19 si mette da parte, a rappresentare il valore iniziale della bottiglia, che viene posta al centro della tavola. Le altre carte vengono invece mescolate e date ai giocatori fino a esaurimento. Prima dell’effettivo inizio della manche, i giocatori sono chiamati a fare delle piccole operazioni di scambio: prima di tutto, ognuno sceglie una carta dalla propria mano e la pone nel “bottino” della bottiglia, che si mette quindi da parte. Chi alla fine del gioco avrà ancora la bottiglia in proprio possesso, invece di fare i punti alla solita maniera, farà esclusivamente i punti negativi rappresentati dalle monete presenti nel “bottino”. Il “setup” della manche viene quindi completato passando una delle proprie carte ai giocatori seduti alla propria destra e alla propria sinistra.
Ora inizia il gioco vero e proprio. Ma prima un passo indietro, che certamente potrà aiutare nella spiegazione: narriamo un po’ di cosa tratta questo bel racconto di Stevenson. Senza scendere in eccessivi dettagli, ci si trova alle Hawaii, dove un ragazzo del luogo paga cinquanta dollari per ottenere una bottiglia contenente un demonietto, sotto la promessa che quest’essere soddisferà ogni suo desiderio. Vi sono però due particolari condizioni da tenere in conto: la prima è che finché si possiede questa boccetta la propria anima è condannata all’inferno. Se la si cede, però, si tornerà a esser soggetti al normale giudizio divino. A complicare il tutto, però, c’è la seconda condizione, che recita che questa bottiglia non si può perdere, o gettar via, o neanche regalare: l’unica maniera con cui può passare di mano è la vendita a minor costo. In altre parole, se chi l’acquista la ottiene pagandola 19, può essere venduta solo a 18 o meno.

Avendo chiaro come funziona questa simpatica bottiglia maledetta, capire anche il gioco sarà decisamente più facile, nonostante una traduzione non perfetta del manuale mi abbia spinto a rileggere il regolamento inglese originale per capire un paio di esempi.

Chi è di mano gioca una delle sue carte: gli altri devono rispondere a turno con un’altra carta dello stesso colore, se possibile, altrimenti possono calarne una qualsiasi.

Una volta che tutti hanno giocato, ci sono solo due opzioni: la prima è che nessuna carta sia minore del prezzo della bottiglia (inizialmente fissato a 19). In tal caso il giocatore che ha giocato il valore più alto, indipendentemente dal colore, vince la mano. Incamera le carte e sarà quindi il prossimo a giocare.
La seconda opzione, il fulcro del gioco, è quella che vede almeno una carta con valore minore del prezzo della bottiglia. In questo caso, vince la mano chi ha giocato la carta dal valore più alto tra coloro che hanno giocato al di sotto del prezzo della bottiglia. Per fare un esempio, se il prezzo è ancora 19 e tre giocatori giocano 22, 17 e 2, allora chi ha giocato la carta 17 sarà il vincitore della mano. Egli incamera le carte, come al solito, e sposta la bottiglia sul suo 17 prendendola per sé. Ora è quello il nuovo prezzo con cui confrontarsi.

E’ quindi chiaro come il prezzo della bottiglia possa solo decrescere con il tempo. Quando tutti avranno esaurito la propria mano, ognuno farà punti uguali alla somma delle monete presenti nel proprio mazzetto ottenuto nei turni precedenti, mentre chi è rimasto in possesso della bottiglia perderà invece un quantitativo di punti pari alla somma delle monete presenti nel “bottino” della stessa.

E’ quindi tempo di una seconda manche, proseguendo in questo modo fino a raggiungere la condizione di vittoria.

Vi sono un paio di modalità di gioco per due soli giocatori, ma francamente mi sono sembrate dimenticabili. La prima presenta un terzo giocatore, dalle carte scoperte, che agisce in automatico seguendo delle regole di intelligenza artificiale. La seconda modalità simula invece una partita in quattro dove ognuno dei due giocatori possiede due mani separate.

  

– Sì, sono venuto a comprare la bottiglia. Qual è il prezzo? – È molto calato dal vostro tempo, signor Keawe (Esperienza di gioco)

The Bottle Imp è un titolo che ricorda molto alcuni classici giochi di carte, tra tutti il buon Hearts che lungamente abbiamo giocato insieme a Campo Fiorito nei sistemi operativi windows di qualche anno fa. In effetti, c’è un certo feeling di familiarità, tra tutte la necessità di rispondere ad ogni carta usando lo stesso colore. Il twist, la cosa che lo contraddistingue, è certamente la gestione della bottiglia. Vincerla consente di ottenere punti, ed è quindi cosa desiderabile, a patto che la si riesca poi a cedere a qualcun altro. Il fatto di aver dato delle carte agli avversari permette di avere qualche informazione in più su cui ragionare, possibilmente forzando un rivale a giocare la carta sbagliata al momento sbagliato. Immagino, inoltre, che il setup iniziale che prevede la selezione di una carta da porre nel “bottino” della bottiglia sia stata pensata per limitare il vantaggio ottenibile ricordando le carte giocate sino a quel momento. Come in Hearts e giochi simili, è ovviamente utile tenere a mente quali siano state le carte giocate, ma in questo caso ve ne saranno alcune che non entreranno in partita, non consentendo mai di avere certezze. E’ pur vero che spesso le carte così cedute sono quelle dai valori molto bassi (se non si è preferito, invece, donarle ai giocatori vicini), ma non sempre la cosa è così prevedibile. Può accadere, per esempio, che un giocatore scelga di scartare una carta buona se era l’unica in suo possesso di un determinato colore, ottenendo quindi la libertà di rispondere a quel colore con una carta qualsiasi.

In genere le tattiche sono molto situazionali; se si hanno carte molto alte, ad esempio, abbassare subito il valore della bottiglia intorno a 4 o 5 è un’ottima mossa, ovviamente posto che si riesca ad ottenerla prima di veder scartare i valori più bassi!

Il gioco in tre fornisce un range di opzioni leggermente più elevato che in quattro (visto che ognuno riceve più carte, 12 invece che 9), motivo per cui diventa più importante gestire in maniera accurata la propria mano. Quello che rimane vero in qualsiasi numero di giocatori è la soddisfazione di rifilare con l’inganno la bottiglia a un avversario.

  

Vide la sua camicia bianca ondeggiare mentre la indossava, poi il suo holoku rosso (Considerazioni finali)

Ho fatto giocare the Bottle Imp a diversi amici. I gruppi più esperti non l’hanno affatto apprezzato, secondo me in maniera eccessiva. Forse provare un trick-tacking game, reminiscente di un tresette o di un Hearts, sembrava loro un ritorno ad un tipo di giochi per loro ormai desueti. Giocato invece con giocatori meno assidui è stata tutt’altra musica. L’apprezzamento per la tensione e le possibilità tattiche è fortemente aumentato. L’incombente presenza della bottiglia ha regalato diverse soddisfazioni a chi è riuscito a evitarla, magari all’ultimo turno, e in genere le partite sono state più che divertenti.
Dal mio punto di vista, sono abbastanza combattuto: si tratta, in fin dei conti, di un gioco che sente i suoi anni, ma che nel suo piccolo può offrire delle soddisfazioni. Sembrerebbe che l’autore abbia provato a fare un’operazione di “svecchiamento” di un classico come Hearts velocizzandolo e semplificandolo un pochino. Letto soltanto da questo punto di vista, forse questa elaborazione può risultare un po’ scarna, ma non posso negare che abbia comunque ottenuto il plauso di alcuni.
Tuttavia, la cosa più peculiare e che rende valore a questo titolo è l’ambientazione: veramente perfetto il riferimento al racconto di Stevenson, e averlo letto regala un quid in più alla partita. Però, purtroppo il racconto non è abbastanza conosciuto, né ben introdotto dal regolamento, per cui ci si attende che, senza conoscerne la fonte, il tema non venga apprezzato a dovere dai giocatori.

Pro
– Tensione presente senza essere eccessiva
– Ambientato in maniera ottima…

Contro
– …ma l’ambientazione non è ben introdotta
– L’impostazione generale risente dei suoi anni
– Le varianti in due sono trascurabili
– Traduzione talvolta eseguita con leggerezza

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