giovedì 28 Marzo 2024

Spiel des Jahres – Semplicemente immergersi

Come abbiamo imparato nel corso dei mesi, i giurati dello Spiel Des Jahres (e quindi gli autori della rubrica Spielraum) analizzano i giochi e la pratica del gioco da molti punti di vista, spesso anche insoliti rispetto a quella che è la critica ludica tradizionale. Dopo aver affrontato i temi dell’inclusione, delle preferenze di genere e della terza età, Guido Heinecke ci parla di quello che proviamo quando giochiamo (anche se non ce ne rendiamo conto)…

Semplicemente immergersi – Flow e immersion nel gioco di Guido Heinecke

A casa sul tavolo della sala abbiamo un eccellente libro che si intitola “Glück. The World Book of Happiness” [Felicità. Il libro mondiale della felicità, N.d.T.]. Nel libro ricercatori di tutto il mondo spiegano come si fa secondo loro a trovare la reale, vera, profonda felicità (e come ci si deve porre affinché questa sensazione si faccia spazio dentro di noi). Gli articoli sono lunghi solo poche pagine e si prestano bene per essere letti un po' alla volta. Il tomo non dovrebbe essere affrontato tutto in una volta. Se facessi così tanti mantra della felicità mi uscirebbero dalle orecchie, invece a piccole dosi funziona, quindi vi offro la mia sintesi: la felicità scaturisce da relazioni strette, benessere corporeo e libertà spirituale. Queste parole d'ordine già le conosciamo grazie alle riviste e alle classifiche dei bestseller delle librerie.

Una parola chiave però mi ha incuriosito. Lo psicologo americano David G.Myers scrive: “Cercatevi un lavoro e degli hobby che mettano alla prova le vostre capacità. Le persone felici si trovano spesso in una situazione chiamata “flow” [flusso, trance] ovvero immersi in compiti che li sfidano ma non li sovraccaricano”. Questo significa: stare spaparanzati su uno yacht sorseggiando daiquiri contribuisce meno alla propria felicità rispetto a ravanare nella terra del proprio giardino oppure fare lavoretti artigianali in garage o in sala. O anche, come potete immaginare, giocare da tavolo.

Il “flow” è un fenomeno emozionante e tutti lo conoscono senza magari sapere che si chiama così: ci immergiamo in un'attività come se fossimo in trance, la percezione del tempo e dello spazio cambia in modo da farci abbandonare all'attività stessa. Il concetto è stato definito da un uomo di nome Mihály Csíkszentmihályi (suggerimento: si pronuncia come la frase inglese „Chick, send me high“ – proprio calzante). Egli dice: quando l'azione e la coscienza diventano una cosa sola, la concentrazione aumenta e la sfida si pone allo stesso livello delle proprie capacità, allora la persona si muove in completa armonia. Troppo esoterico? Per niente.
I videogiocatori conoscono bene questo fenomeno: uno inizia un gioco, vuol giocare solo un turno e hop sono le due del mattino. Gli sportivi parlando di “flow” quando corrono, si arrampicano o ballano. I pittori si immergono nel quadro. I modellisti nel loro modellino della Garibaldi.

E noi giocatori? Possiamo sentire il “flow” mentre giochiamo? Csíkszentmihályi sostiene di si: ha interrogato dei giocatori di scacchi e si è sentito rispondere che questi durante le partite perdono ogni cognizione del tempo e restano incollati come alla scacchiera come se fossero incorporei. E' successo anche a me nelle più diverse sessioni di gioco: sediamo al tavolo, lo sguardo oscilla tra le carte, gli altri giocatori ed il tavolo da gioco. In questo momento è come se fossimo parte del gioco, viviamo il meccanismo e ci sentiamo parte di esso. Lo spirito vibra con il regolamento, il cuore batte in sincrono al flusso di gioco. Un'incredibile esperienza ludica creata soltanto con il contenuto di una scatola!
Secondo me un buon gioco crea esattamente questo “flow”. La domanda è: a che cosa è riconducibile? Probabilmente alla suddetta armonia tra livello di sfida e capacità. Ovviamente ci sono giochi più rilassati, che ci intrattengono e ci lasciano ridere e raccontare amenità. Altri invece ci paralizzano per il loro elevato livello di sfida, propongono sistemi complessi, richiedono calcoli e meditazioni intense invece che un piacevole abbandono al “flow”. Poiché però questa è un'emozione soggettiva, significa anche che per ogni giocatore l'esperienza del “flow” è soggettiva, dipende dalle proprie capacità, quindi è difficile quantificare il potenziale di “flow” di un gioco. Un gioco ad immersione garantita non esiste.

Nello studio dell'arte e dei media si parla spesso anche di “immersion”. Con questa parola si intende l'immersione nella narrazione, sia perché un film rompe la quarta parete sia perché un dipinto diventa qualcosa di più di un'immagine da interpretare e ci attira nel suo scenario.
“Immersion” è presa di coscienza senza distacco, enfatica e diretta. Se il “flow” è per il cervello, l'”immersion” è per il cuore.
Anche i giochi provocano “immersion”. A meno che non si tratti di un puro gioco astratto, ogni gioco ha in sé una cuore narrativo, una storia inclusa che nel caso ideale sostiene in modo plausibile la meccanica. Al contrario di film e teatro in un gioco non sappiamo mai come va a finire la storia, nemmeno la terza volta che lo giochiamo. La storia la creiamo mentre giochiamo. Gli autori di giochi sono in parte narratori e in parte fini orologiai. Ci lasciano tessere assieme delle storie, di crescita e decadenza di intere civiltà, ci lasciano colonizzare isole, commerciare, illuminare il cielo o raccontare di nuovo la favola del coniglio e della tartaruga. Da un lato ci forniscono la cornice per l'”immersion” e dall'altro le loro meccaniche stimolano le nostre capacità spirituali e sociali senza sovraccaricarci.

“Immersion” e “flow” in una sera, per due ore, immergersi in storie create da noi e in esperienze estetiche: questi sono i motivi per cui gioco volentieri.
La scienza ancora non ha indagato questi fenomeni.

(Articolo originale – traduzione a cura di Fabrizio Paoli)

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